Weisberger, Lauren: Al diavolo piace dolce

Al diavolo piace dolce

Traduzione: Francesca Spinelli
Titolo originale: Everyone worth knowing
Piemme 2007

New York, l’unica città al mondo in cui ancora la crisi non c’è. La ventisettenne Bette lascia il suo lavoro in banca ed accetta la proposta di lavorare per una agenzia di promozione eventi.   È l’inizio della fine, o l’inizio della vera vita. L’esistenza della giovane Bette, che chiunque potrebbe invidiarle, si trasforma: da sciatta donna in carriera in un ufficio triste a sexy organizzatrice di eventi per una delle agenzie più giovani e promettenti di New York. Da una festa all’altra, passando per Istanbul e per i locali più cool di Manhattan, Bette si ritrova a letto con l’uomo dei sogni di molte donne, lei inclusa.  Avvinghiata alla famosa celebrità che tutto il jet-set le invidia (ma non è mai tutto oro quel che luccica!), trascorrerà ventiquattro  ore al giorno in giro per la City tra party, riunioni, lavoro, dimenticando gli amici di sempre.  Eppure sarà a Poughkeepsie, la città a sessanta miglia da New York in cui ha trascorso tutta la sua vita, che, alla Festa del raccolto, in macchina con l’unica persona che le abbia mai fatto veramente “battere il cuore”, comincerà a capire cosa sia giusto, cosa sia sbagliato, e cosa valga davvero la pena essere vissuto…
Partiamo dal titolo originale, Everyone Worth Knowing , che in italiano dovrebbe suonare più o meno “tutto ciò che vale la pena sapere” ma è stato terribilmente tradotto  Al diavolo piace Dolce in onore del primo libro della stessa autrice, The Devil wears Prada, da cui è stato poi tratto l’omonimo film. Il titolo in italiano trae molto in inganno e, fino alle ultime pagine,non si capisce affatto cosa  sia “dolce”. Lo ammetto, all’inizio pensavo di trovare scene di binge eating, invece no; quel “dolce” è qualcosa di più, ma lo lascio scoprire a voi. Il racconto prende una forma più consistente solo a metà libro e solo alla duecentesima pagina capisci dove voglia andare a parare, e anche il prevedibile, ma piacevole, finale. Lo stile è quello tipico della Weisberger e anche la trama è più o meno la stessa (giovane donna in carriera a New York), ma sono i personaggi che  ruotano attorno alla protagonista a fare la vera differenza. Il capo di Bette è una giovane donna, abbastanza sadica ma non stronza, le colleghe sono invece le vere perfide e lo zio Will, probabilmente, l’unica vera star del romanzo. Chi non vorrebbe uno zio come Will? Dichiaratamente omosessuale, sensibile, open-minded, generoso a tal punto da instradare la nipote in ben due lavori. Alla faccia della crisi, appunto. Esilarante, brillante e… beh, sicuramente non alta letteratura. Ma ottimo da leggere la mattina o la sera dopo cena, proprio per staccare dai problemi della vita reale. Che sono molto più seri di un semplice cambio d’abito da decidere per l’ennesima festa. E anche Bette lo sa. Certamente.

Mlinowski, Sarah: Reggiseni e manici di scopa

Reggiseni e manici di scopa

Traduzione: Paola Maraone
Titolo originale: Bras And Broomsticks
Sonzogno 2011

Rachel Weinstein è una ragazzina di soli quattordici anni, eppure nel suo liceo è già una celebrità: i trofei da lei vinti nei più svariati concorsi di matematica si trovano nella bacheca della scuola, sommersi purtroppo dai trofei sportivi dei suoi compagni. Si sa, la vita è ingiusta: Rachel desidera da sempre un sacco di cose, e come tutte le ragazzine della sua età vorrebbe avere tutto ciò che desidera e averlo subito, soprattutto “un ragazzo, la pace nel mondo, due belle tette”. Di un seno generoso madre natura ha gentilmente fornito infatti la sorella minore Miri, ma non lei, non Rachel.  Fino a quel momento nessuno dei suoi desideri si è realizzato, almeno fino al giorno in cui ai suoi piedi si sono materializzate un paio di scarpe ultimo modello in camoscio verde, da lei viste pochi giorni prima in un negozio alla moda e desiderate ardentemente. Forse si tratta semplicemente di un regalo di sua madre, forse no, ma strane cose cominciano ad accadere nella sua vita e in quella di chi le sta vicino: mamma, papà e Perfida Matrigna, la sorellina minore. Rachel non sa di aver uno e più talenti nascosti, e quando il destino la porta, a passo di danza, ad inciampare nel momento giusto…
Il pregio e il difetto al tempo stesso di questo libro sta nel linguaggio, ricostruito alla perfezione dalla Mlynowski – canadese che non è alla prima prova come autrice e vanta un curriculum di tutto rispetto anche come editor. Il linguaggio dei giovani d’oggi: netto, tagliente, irriverente e scurrile ma non troppo. Belli erano i tempi, i miei – e non sono certo una veterana – in cui pensare ad un ragazzo significava sognare che dicesse “ti amo” e  ti rapisse per  vivere poi come nelle fiabe, “felici e contenti”; a quei tempi, pensare non era certo sognare scenari erotici, come fa invece la piccola Rachel. A 14 anni noi giocavamo a Pincaro, mentre Rachel ha come unica preoccupazione domandarsi perché le sue tette non crescano, essere brava a scuola… e chi scegliere  tra Mike o Rik come compagno di sogni (nel senso che la nostra eroina decide di volta in volta quale dei due sognare).  I tempi cambiano, e l’autrice, attenta all’evoluzione dei sistemi sociali ed esperta sicura di drammi adolescenziali, scrive con sagacia ed ironia, descrivendo il mondo giovanile per quello che è: un momento difficile e allo stesso tempo magico. Con o senza una sorellina minore contro la quale combattere.

Glass, Julia: Quanti giorni dopo di lei

Quanti giorni dopo di lei

Traduzione: Giovanni Scocchera
Titolo originale: The Widower’s Tale
Edizione Giunti 2011

“Ho già sentito questa storia, papà. È molto dolce. Tu e la mamma siete vissuti in un’epoca diversa, credimi”, sono le parole che la famosa oncologa Truthful Darling detta Trudy rivolge al padre Percy, vitale e schietto settantenne totalmente immerso in questa tribalizzante era informatica. Ancorato ad un passato che tenta in tutti i modi di rendere più che mai vivo, saldamente attaccato ai ricordi della moglie Penelope-Poppy, mancata circa quarant’anni prima (e la cui morte è avvolta in un mistero), Percival ha deciso di non sposarsi mai più. Continua a vivere a Matlock, nella stessa casa che “fu comprata per una sciocchezza! Il tetto stava per crollare, chiunque avrebbe lasciato perdere. Invece  no, Poppy disse che l’avrebbe trasformata in casa per le generazioni a venire”. La  figlia maggiore, Clover, nome di fiore accuratamente scelto dai coniugi Darling affinché non risultasse troppo banale, si è fatta promettere dal padre che questi avrebbe smesso di fare il bagno nudo nel laghetto; ed è così che un giorno Percy decide di comprare un costume da bagno, che cambierà il corso della sua vita. “elfi e fatine”, l’asilo per infanzia di cui Clover è ideatrice, rivoluzionerà, in un modo o nell’altro, l’esistenza del signor Darling e di tutta la sua stravagante famiglia…
Il libro, seppur avvincente in alcuni suoi punti, si muove lentamente e solo un lettore ostinato e tenace  trova la forza di andare oltre le prime 250 pagine: ma proprio qui, bisogna ammetterlo, le singole storie del prezioso quadretto bucolico prendono forma e si evolvono. La scrittura di Julia Glass, per chi non la conoscesse, è magistrale, coadiuvata qui da una ottima traduzione. Interessante è la pluralità di stili letterari  ed espedienti linguistici (passiamo da semplice prosa a delle e-mail), ma è ancora più intrigante il gioco narrativo: non vi è un singolo narratore, alcune volte Percy racconta in prima persona le proprie avventure ed emozioni, altre volte invece un narratore onnisciente ci racconta di Robert, figlio di Trudy, e di Celestino, tuttofare spaventato dalla vita e dalle passioni che inaspettatamente offre. La tragicommedia che Glass ci propone dona risalto alla propria penna, ma potrebbe annoiare. Ma Percy, no. Percy non annoierà. E forse qualcuna potrebbe anche innamorarsi di lui.

Cuneo, Anna: Il maestro di Garamond

Il Mastro di Garamond

copertina

Autore: Anna Cuneo
Traduzione: Gaia Amaducci
Edizioni Sironi,  2010

Il giovane incisore francese Claude Garamond ha perso il suo maestro e miglior amico: Antoine Augerau, maestro incisore, letterato, umanista, genio e tipografo,  nato a Fontenay La Comte, nella regione del Poitou  nel 1485,  è stato giustiziato per impiccagione il 24 Dicembre 1534 a Parigi, in Place Mauber. Il suo corpo è stato bruciato su un rogo alimentato da libri,  l’accusa è di essere l’ eretico e blasfemo autore di manifesti contro la messa cattolica, affissi in tutta la capitale. Il suo allievo, e figlio della donna che Augerau aveva poi sposato, Claude, assiste all’atroce pena capitale e si promette di scoprire la verità: chi ha scritto in realtà quei manifesti? E chi li ha poi stampati? Le strade del quartiere degli stampatori di Parigi, Grand-Rue Saint-Jacques, diventano il teatro delle vicende quotidiane del ragazzo, impegnato a spazzare i locali della tipografia da cui è assunto, correre da una bottega all’altra e imparare i rudimenti del mestiere…
Anna Cuneo ha chiare origini italiane, ma è svizzera e scrive in francese. Il suo libro si commenta da solo, ma per chi non lo avesse letto basti questo: capolavoro. Minuziosa la descrizione della storia, e lampante è  il gusto per la ricostruzione da parte dell’autrice; reali gli scenari e i luoghi ivi descritti: il lettore non dovrà impegnarsi per immedesimarsi nella storia. La vicenda è ambientata in un periodo violento e tumultuoso, caratterizzato dalla Riforma e dalle conseguenti persecuzioni religiose, lotte dinastiche e innovazioni scientifiche, frutto del nuovo pensiero umanista. Viene ripercorsa tutta la storia professionale e umana del protagonista, che incontra personaggi come Calvino, Erasmo, Margherita di Navarra, Rabelais. La lettura scorre, i dialoghi sono semplici ed immediati, a volte troppo moderni per mots-pout-le-dire (si diceva davvero “Io sono una forza!” nella Parigi del 1500?), ma sembra davvero di essere a Parigi, e poi Venezia al cospetto di Manuzio, e poi Basilea. Antoine Augerau affascina i lettori come affascina la madre di Claude; affascinano la sua storia e la sua fine. Ma chi di noi si ricordava di Augerau? Il suo allievo, narratore dei fatti, Claude Garamond, è più famoso e citato, forse perché il carattere Garamond è uno dei più utilizzati dai computer di tutto il mondo. Ma Claude non sarebbe stato senza Antoine, e questo dimostra il testo della Cuneo. Ottimo, veramente. Ricostruzione storica che non si interrompe con la fine del libro, con l’inizio dello stesso e la morte di Antoine Augerau.
A pagina 443 troviamo un capitoletto interessante, “che ne è stato dei miei amici?”: qui, la Cuneo ci racconta”che ne è stato dei personaggi” citati nel libro.  E non ci lascia a bocca asciutta, ma ci mostra come un’ innovazione come la stampa, capace di trasmettere cultura, forse oggi sottovalutata, possa diventare rischiosa se mal utilizzata.
O semplicemente malinterpretata.

Mereu, Mario: Prima della pioggia di Settembre

Prima della pioggia di Settembre 

Mario Mereu
Edizioni Aisara, 2009

Il giovane giornalista cagliaritano Nanni è chiamato a rapporto dal suo editore. Gli viene commissionato un nuovo lavoro, un reportage su un paese a vocazione agricolo-pastorale la cui improvvisa crescita economica, dovuta alla panificazione di un miracolo culinario, ha iniziato a fare scalpore, per poi finire stampata su alcuni giornali locali. Prendere o lasciare: o sei dentro il pezzo, oppure… Siurgus Donigala, piccolo comune della Trexenta: su di esso un anatema – o forse benedizione. Il mistero, e la sua risoluzione finale, si trovano in un suono ben preciso e antichi riti nuragici…
Non ci è dato conoscere, nel romanzo di Mereu, il perché di molti avvenimenti. L’autore inizia da una certosina ricerca della cultura de Is Abrebus e della Trexenta, e da lì riparte per dar vita ad un romanzo in cui la realtà non si unisce alla fantasia e alla magia, ma ne è intrisa, formando un unicum. È così per il rapporto con lo zio di Nanni, cieco, presumibilmente privo di cultura, ma che pure comunica col nipote tramite e-mail. È così per la giovane e bella insegnante forestiera, immedesimatasi subito in questo clima di terrore e vittima della smodata mania di utilizzare campanelle appese un po’ ovunque. Siurgus Donigala risuona, incessante, di racconti di vecchie e sagge storie, di campanelle appese al collo dei suoi abitanti e nelle pareti delle abitazioni. Si parla di Is Abrebus, ma viene da pensare che realmente gli abitanti di Siurgus Donigala non sappiano di cosa si tratti, visti come formule magiche e rituali, e non più come semplici mottettus da ripetere. Buona parte dei lettori potrebbe restare nel dubbio anche dopo una attenta lettura del testo. Finisce, ma si vorrebbe che non finisse, che continuasse e ci spiegasse molto di quell’insoluto. Mereu, invece, se da una parte ci regala un finale chiaro e semplice, dall’altra lascia una fitta nebbia di mistero. Di scorrevole lettura, piacevole, ma da assorbire totalmente prima di poterlo comprendere nella sua complessa totalità; molto buono dal punto di vista stilistico, con un accattivante mix di stili linguistici: prosa, poesia (Is abrebus sono dei piccoli stornelli in limba), e-mail e giornalismo. Per chi non conosce il dialetto sardo la lettura potrebbe risultare ostica a causa della mancanza di note e traduzioni: consigliato solo ai lettori molto interessati alla cultura isolana.

Mulas, Giovanna: Nessuno doveva sapere, Nessuno doveva sentire

Nessuno doveva sapere, nessuno doveva sentire

Giovanna Mulas
Romanzo
Edizioni Il Ciliegio 2010
Maddalena è emigrata a Firenze per frequentarvi l’Università; vive insieme alla compagna di studi Aradia, ragazza alquanto singolare: di poche parole, smunta e pallida. Ragazza dalla probabile vita dissoluta, quotidianamente esce di casa la notte per farvi ritorno solo al mattino, sempre più cerea e taciturna. Maddalena, incuriosita, una notte decide di seguirla, diventando così spettatrice occulta di un rito sabbatico e propiziatorio: scoperta dalle streghe, perde coscienza. Al risveglio, non riporta con se alcun ricordo di quella notte. Sardegna, molti anni dopo. La giovane donna Abbaccai, dopo l’orrore di una violenza carnale dal parte del giovane prete del paese, la notte stessa ha il primo ciclo mestruale, a purificazione della violenza appena avvenuta: termina un vecchio ciclo vitale e uno nuovo inizia, una nuova vita: lei è ora s’accabadora, “Unica nei tempi, ciclica, Regina”, colei che uccide la vita per il rinnovamento, che dona morte e pace…
Colei insomma che ci accompagna in questo romanzo quasi sibillino e onirico, in una favola immaginifica ma inquietante come colei di cui “tutti sanno, ma di cui nessuno parla”. La figura de S’accabadora non è mitica; chi non conosce la cultura sarda può, con questo testo, imparare a conoscerla, con spunti non per forza gentili e delicati (la doppia violenza, l’isolamento da parte della comunità),ma riportanti la verità. Donna, sola, chiamata sul eltto di morte di agonizzanti anziani, giovani, li finiva soffocandoli con un cuscino, o colpendoli con su mazzolu. La Mulas gioca con istinti di suono ed energia, donando alla sua accabadora un nome nuovo, mai prima utilizzato e che anticipasse le facoltà di questa donna, bambina: togliere la vita, finire. Abbaccai come s’Abba, l’acqua, elemento vitale di ogni uomo e della natura stesso; Abbaccai come Acabar, terminare, porre fine. Nome selvaggio, rurale, che riporta anche ai riti di bacco, i Bacchanalia, i Sabba. La trama del romanzo è fiabesca e mostra la dedizione minuziosa della scrittrice per la ricerca culturale e antropologica; a questa si è volutamente dedicata per delineare una figura che fosse strettamente personale e congeniale a quanto appreso dai racconti delle anziane del proprio paese, che ha potuto incontrare e da cui ha saputo cogliere confessioni e racconti. Impietoso sarebbe per gli altri romanzi sull’argomento essere paragonati al lavoro della Mulas: la più volte candidata al premio Nobel per la letteratura, poetessa pura e ricercata, con questo romanzo da ancora una volta saggio della maestria della propria penna. Non un saggio, anche se per scriverlo si è addentrata nella cultura sarda, studiando a lungo. Non una semplice prosa, perché poetico e musicale, creato con un continuo rivolgersi all’interiorità del lettore. Da leggere, da ascoltare (il libro è venduto accompagnato da un cd con musiche originali del maestro Gianluca Rando, già direttore d’Orchestra RAI), da ammirare grazie alle illustrazioni di Pinina Podestà e a teatro, nello spettacolo “Bianca Rondine Silente” di Antonio Marras. Non facile, senza dubbio. Ma la facilità dei versi non sta nelle corde di Giovanna Mulas, una scrittrice per il popolo, tra il popolo.