La storia della famiglia Porru

Incontro la famiglia Porru grazie ad una dritta di Teresa fantasia, una cara amica sarda di Pattada che da 60 anni vive a Buenos Aires, dove lavora come giornalista. Suo è il programma Sardegna nel cuore, visibile ogni domenica in Streaming su http://www.radiogenesis970.com.ar

Giancarlo Porru è una persona squisita,così come sua moglie Graciela e i suoi quattro figli. Quando ho il piacere di conoscere sua madre, Maria Maddalena, mi si stringe il cuore. La famiglia ha attraversato il mare, madre e figlio da soli, per raggiungere il signor Luigi, arrivato per lavoro in Argentina. La signora Maria Maddalena era sola, giovane, con un bimbo piccolo e altri due in arrivo. Mi accolgono come fossi una di famiglia, mi ospitano nella loro casa per  un lungo fine settimana. Quando li lascio, lascio una parte di me.

La storia di Maria Maddalena Siddi

Maria Maddalena Siddi, è nata ad Iglesias il 23 luglio 1925, da genitori di Villamassargia.
La incontro in una calda estate argentina, nel marzo del 2010; ha 85 anni, ma una forza sovraumana, una risata contagiosa nonostante una vita lunga e difficile. Non ha perso mai lo spiccato senso dell’umorismo.

La storia del padre di Maria Maddalena ha del leggendario: raccontava di provenire da un luogo lontano, di essere di Musei, per dare probabilmente una nota di esotismo alla propria biografia di uomo semplice e dignitoso. In realtà, Musei dista solo 5 chilometri da Villamassargia, ai quei tempi percorribili più facilmente a piedi che in macchina; probabilmente, le distanze sembravano incolmabili, ma la verità è che si tratta di una leggenda inventata per colorare la propria esistenza e  prendersi goliardicamente gioco dei propri figli.

Maria Maddalena aveva altri 5 fratelli, di cui uno, Salvatore, si era recato in Argentina; il più piccolo si era trasferito a Torino mentre gli altri fratelli sono rimasti in Sardegna. La donna lavorava in miniere

Cercavo le pietre che toglievano del pozzo, sceglievamo le buone e le altre le buttavamo..in laveria.
Lavoravo ..non mi ricordo il pozzo.. la miniera era Sedda Moddizzi.

Ha conosciuto suo marito a Carbonia,

io dovevo compiere 21 anni..l’ho conosciuto in un ballo, l’Arcobaleno in Carbonia. Mio marito si chiamava Luigino Porru, nato a Dolianova il 4 Aprile del 1917.

La coppia si conobbe nel 1946, Luigino era quindi appena stato congedato dalla guerra. Il primo figlio della coppia, Giancarlo, nacque nel 1948, in Sardegna,;  successivamente sono nati in Argentina  Emilia Liliana ed infine Antonio, nato nel 1958. Luigino si recò per primo in Argentina,  nell’anno 1952, quando il primogenito della famiglia Porru aveva solo 4 anni. Nel 1955, la moglie Maria Maddalena seguì il marito in questa avventura oltreoceano, portando con se il figlio di sei anni e abbandonando la propria famiglia.

Ho aspettato quasi 3 anni.. lavoravo in miniera,vivevo con mia madre..poi lui mi ha fatto la richiesta e son venuta io con il bambino. Ci siamo sposati per procura, io in chesea a Santa Barbara,  a Monteponi, ero parte di quella..chiesa..e lui qua in Argentina..

Nonostante la difficoltà di un matrimonio avvenuto per procura, quindi a distanza, Maria Maddalena dimostra molta gioia nel ricordare l’evento e molta dignità nell’affermare di essersi sposata con questo rito molto usuale all’epoca. Solitamente, molte donne intervistate si sono vergognate di raccontare di essere state, seppur per breve tempo, delle ragazze madri con i fidanzati lontani, ma è una vergogna atavica che si trascinano dietro come un pesante macigno.
Luigino, arrivato a Buenos Aires, viveva in una pensione e lavorava in una fabbrica tessile, dove si producevano coperte; successivamente all’arrivo della moglie

fece richiesta per la prefettura marittima ed entrò come guardia portuale fino a quando poi è andato in pensione.

Il 5 febbraio 1955  Maria Maddalena e Giancarlo arrivarono in Argentina

Il viaggio ..ahhh… son venuta con la Santa Fe! Dovevo venire proprio con Porcu di Iglesias! Dalla Sardegna siamo andati a Genova, ci hanno fatto la visita, poi tornati in Sardegna e ci hanno chiamati. Poi como nell’ufficio dell’emigrazione hanno sbagliato, a Porcu han messo Porru, c’è stata una confusione.. dicevano “voi siete così, voi siete cosà”.. E loro son venuti dopo, con la nave Biancamano..
In nave..ci davano da mangiare si.. era una nave di carica, di trasporto..le donne dormivamo in un unico camerone

La vita si dimostrò subito molto avversa nei confronti della coppia. Maria Maddalena, giovane, sola con un bambino, ne ha presto altri due. Sorridendo, racconta

A me piaceva l’Argentina! Perché..sono arrivata per vedere mio marito! Quando sono venuta qui..bene bene non sono stata..
Mio marito ha dovuto affittare una casuccia..piccolina..vicino a Buenos Aires.. quindi io, poi, siamo rimasti li..due anni o poco più. Poi ho comprato questo terreno, che era un monte, non c’era nulla, c’erano maiali, pecore, vacche. Ero sola, non c’era luce, non c’avevamo acqua.
Eh ! Sola! sola..con due bambini, aspettando il terzo..sola. c’era mio fratello, poi se ne è andato a Caseros, e quindi sono stata qui.
L’ultimo figlio lo ho avuto in casa, sola, con mio marito. e ha pesato 6 chili!
Il dottore credeva che era morto,poverino, perché era grande..eravamo senza luce, senza niente quindi.. Mi ha dovuto tagliare, mi hanno messo undici punti..era un dottore che si era laureato un anno prima, ed è stato poi padrino del bambino..

Maria Maddalena è una donna forte; sa che la vita è stata dura con lei, ma non per questo si sente vittima di un destino avverso

La vita mia è bastanza bastanza..bah! come ce ne sono a migliaia, milioni..però..ognuno.. non avere sorella,vicino..nessuno! non avere nessuno! con due bambini, poi il terzo..avuto in casa..alle 24 ore mi son dovuta alzare a lavare la roba.. Io lavoravo in casa, con tre bambini, già le dico, senza avere nessuno, cosa potevo fare.
Qui poi hanno costruito case. Ora diciamo che da quando siamo venuti a ora è dall’inferno al cielo, avendo il transporte nella porta, per andare dove vuole, alla Buenos Aires, alla panamericana..

Maria Maddalena mantenne sempre vivi i rapporti coi familiari rimasti in Europa, all’inizio con scambi epistolari, poi tramite telefono

Loro.. prima di tutto non voleva nessuno che io venissi, però io dovevo seguire a mio marito, c’era un figlio.. Io non l’ho lasciato mai, a mio marito, fino a quando Dio ci ha separati..ora..aspetta me!
Io sono tornata in Sardegna nel 1978, in vacanza, siamo rimasti due mesi, siamo stati in Francia, Spagna, a Torino e .. però non c’era più mia mamma, ne mia suocera..i grandi  non c’erano più. Per quello che io sempre dico che l’andata in Sardegna ..non l’ho fatta! perché non trovando nessuno..non era tanto bello.

Chiedo a Maria Maddalena se tornerebbe in Sardegna, solo per una vacanza. Risponde sicura di te

No..non mi da.. non lo so..per andare..ho una sola sorella, con lei ci sentiamo 3 o 4 volte l’anno, per le feste,compleanni, lei mi racconta che questo che l’altro.. io cosa vado a fare. I giovani non sono per me..Ihhhh! ora mi son tanto abituata che io non mi sento che ..como che fosse straniera. I più, i vicini che c’ho, c’è questa che è venuta tre mesi dopo di me, un altro che sta male pobrecito.. eravamo e ci siamo affiatati e siamo come famiglia. Fino ad ora mai bisticciato, mai litigato.

Maria Maddalena è una donna ancora molto attiva e coraggiosa. Mi chiedo se, avendo vissuto così duramente ma essendo stata ben accolta da questa nuova patria, si senta più sarda o più Argentina. Mi guarda fissa negli occhi

NONO l’origine no eh! Va bene tutto ma non rinnego mi patria!

Sorride. E Piange.

La storia di Giancarlo Porru

Giancarlo Porru è nato ad Iglesias il 12 ottobre 1948, in casa della nonna materna, che si trovava esattamente a Seddas Moddizis. La miniera di Seddas Moddizis si trova su un altipiano che si affaccia sulle coste di Gonnesa; del centro minierario a tutt’oggi non rimango che poche case diroccate, simbolo di un’epoca in cui prolifica era l’economia mineraria; purtroppo, non si prospetta ancora alcun progetto di bonifica e restauro del centro abitato, che comprende anche la casa padronale di Asproni, una scuola elementare, lo spaccio alimentare e  ben poco altro, distrutto e utilizzato come ricovero per ovin; l’intero villaggio è stato acquistato da un medico della cittadina di Gonnesa.Nella casa di minera, Giancarlo ha vissuto tutta la prima parte della propria ifnanzia, quella precedente l’arrivo in Argentina.

prima di arrivare qui ho vissuto con mia nonna in una parte di Iglesias che era Sedda Moddizi, in un piazza. Erano tre case, una dell’incaricato di quella parte della miniera e altre due case he erano dei minatori. Mio nonno materno era minatore cosicché mia nonna, vedova ha continuato a vivere lì e io sono cresciuto lì fino ai 6 anni con mia madre, mia nonna e qualche zio, un fratello di mia mamma, uno piccolo che non era sposato, una sorella che non era sposata e che ha abitato con noi. Io parlavo sardo e italiano, però parlavo piu italiano e sardo

Racconta Giancarlo che nel piccolo centro abitato di tre case lui era l’unico bambino; la miniera è infatti dislocata su più livelli, divisa tra un villaggio vero e proprio e due laverie.

Io ero l’unico bambino; quelli più vicini erano a 300-400 metri, ad altro livello della montagna, si andava a piedi. Giocavamo, una volta alla settimana, non tutti i giorni. Andevamo li, 300 metri, andavamo ..stavamo una serata e andavamo a casa. Anche per andare a Iglesias, sono chilometri, bisogna scendere, forse sono 7 km.. Per andare a fare la spesa..tutto a piedi, non c’era nessun mezzo, c’era questo signor Piras, incaricato del posto, aveva un asino, lo si usava per andare alla fontana a prendere l’acqua.

Il signor Luigino Porru nel 1952 si era trasferito in Argentina per lavoro; al momento della partenza del padre, il piccolo Giancarlo ha solo 3 anni ma ancora oggi ricorda i primi anni di vita, quando viveva con entrambi i genitori nel villaggio minerario.

Ho vissuto coi miei quei 3 anni. Pero a volte andavamo a Dolianova da nonna paterna, si prendeva il treno fino a Cagliari poi la littorina fino a Dolianova Era una festa andare da mia nonna, perché lei aveva il forno del pane e mi preparava..faceva delle forme del pane e me le faceva trovare.
A Dolianova avevo in quel tempo nessun parente..no c’era una cugina, la sorella di mio padre aveva una figlia; gli altri parenti erano in Francia.

Nel 1955 Maria Maddalena e il piccolo Giancarlo abbandonano la madrepatria e si dirigono verso l’Argentina, per ricongiugersi a Luigi, che si era stabilito a Fernandez Moreno e lavorava come operaio in una fabbrica tessile

Mi ricordo il viaggio in nave! Si, sicuro! Per me era una avventura, ero ragazzino, 6 anni..viaggiare, andare in treno, poi essere in un porto come Genova! Io guardavo tutte quelle navi che per me erano..giganti..cosicché..no, non ho sentito nessuna tristezza in quel momento, la tristezza è venuta dopo. Il viaggio era..la nave era una nave de cargo fatta apposta per trasportare gli emigrati che venivano in Argentina. Mia madre quasi tutti i giorni era malata, era a letto per il mal di mare, e io come mi piaceva investigare, camminavo tutta la nave, alla mattina andavo dove si faceva il pane,ormai mi conoscevano, mi davano il pane e glielo davo a mia madre, poi la colazione, poi a mezzogiorno il pranzo. La accudivo. Non ho fatto amicizia con altri bambini,ce ne erano si, però mi sembra che non erano come ero io, che ero libero di girare tutta la nave, loro erano vergognosi.
Ti racconto una cosa! Non c’erano giochi, ma io mi divertivo! La gente viaggiava con le valigie legate con gli spaghi, allora io prendevo lo spago che trovavo, lo aggiungevo agli altri e con la bottiglia di gazzosa lo attaccavo e mettevo tutto in acqua e trascinavo. Come una barchetta.
Dal 16 Gennaio al 5 Febbraio sono 20 giorni..beh,allora….
Le navi erano solo per dormire e mangiare, erano solo per trasportate gente come animali, più o meno. Nei camaroti c’erano letti uno sull’altro, io dormivo in un lettino più su di mia mamma.
La nave era piccola, si muoveva,  e molte volte..se il mare era bravo la prua era nell’acqua e poi tornava su… Però, non avevo paura!
Ricordo che quando abbiamo attraversato l’Equatore.. prima dello stretto di Gibilterra abbiamo fatto come se fosse un ahundamento, una simulazione. Mentre quando abbiamo passato l’Equatore..era una piccola festa, ci davano il pane. Allora io mi sono messo in fila quattro o cinque volte per avere il pane!

Dopo venti giorni di navigazione, che Giancarlo trascorre tranquillamente su quella nave, l’arrivo a Buenos Aires. Ricorda il primo incontro col padre,che ai suoi occhi sembra uno sconosciuto.

A Buenos Aires c’era mio padre. Mia madre dalla nave mi diceva “quello è tuo padre!” Ma per me erano tutti uguali, erano tutti vestiti uguali con giacca, con cappello. Se mi diceva questo è tuo padre,  per me era uno qualunque!

Appena giunti in Argentina, Giancarlo e sua madre vivono a Fernandez Moreno, dove il bambino inizia subitola scuola. Pur non conoscendo ancora la lingua, non ha mai avuto problemi di integrazione

Abbiamo vissuto da subito a Fernandez Moreno, vicino a Villa Lynch. Siamo venuti e siamo rimasti, ci siamo sistemati li. Ho iniziato qui la scuola, si chiamava Florentino Amerino. Io quando sono arrivato, il 5 febbraio 1955, ho iniziato le scuole nel mese di marzo, ho iniziato i miei studi in Argentina. Io, pensa, trenta giorni dopo che sono arrivato, io non capivo niente e non mi capivano, ma quando uno è ragazzo le cose sono più facili..A scuola e poi la sera giocando, subito ho imparato. Non ho avuto problemi di integrazione; magari io son cresciuto solo con mia nonna ma non ho mai trovato il problema dell’ integrazione.Io viaggiavo, se c’era un bambino chiacchieravo, non ho mai avuto problemi, magari non conoscevo la lingua,m a non era un impedimento per avvicinarmi agli altri bambini.

Giancarlo ha solo sei anni, è arrivato in Argentina da poco tempo e non sente la nostalgia della sua terra.

La Sardegna non mi mancava, non in quel momento. C’era mio padre, mia mamma, poi è nata mia sorella. Uno poi comincia a mancargli il zio, la nonna, il pane della nonna, il caffè della nonna, e comincia a pensare le cose che ha lasciato. Quando sono tornato nel 1986, non c’erano più le due nonne, i nonni non li ho mai conosciuti. Le nonne si, e quando sono tornato già non c’erano.

Giancarlo ha svolto gli studi scolastici interalmente nella terra di adozione, arrivando a diplomarsi ragione ed iniziando una importante ascesa sociale ed economica.

Ho fatto le scuole, sono ragioniere, poi ho fatto due anni di avogacia, ma ho continuato a lavorare e nel lavoro ho cresciuto fino ad arrivare,con diversi tempi, gradini, ad essere dirigente della Glaxo, una industria farmaceutica. E’ stato l’ultimo lavoro prima di quello attuale, sono stato circa 18 anni alla Glaxo; prima in Behringer, poi in una ditta argentina, poi Glaxo come dirigente del personale, sino a che la Glaxo si è fusa con un’ altra ditta e sono rimasto fuori perché l’altra ditta ha avuto la meglio.

Gli chiedo se ha mai pensato a come sarebbe potuta essere la sua vita se fosse rimasto in Sardegna; cerco di prenderlo in contropiede e spiazzarlo perché, anche se dalle sue parole non emerge, è chiara la nostalgia per quella terra, ed una sorta di idealizzazione del paese d’origine come luogo perfetto.

Eh..uhm.. a me mi apprezzava molto Donna Crista Asproni, la moglie di Giorgio Asproni. Lei voleva che mia madre rimanesse in sardegna e lei mi pagava tutti gli studi. Voleva bene a mia madre e anche a me, ma mia mamma doveva seguire il marito.

Se mi mettessi nei panni di mia madre..non so, è molto difficile, penso che farei di tutto perché mia moglie tornasse in Sardegna, ma uno queste cose le pensa col senno di poi, ma avevo sei anni, non puoi pensare ne fare, non puoi scegliere. Però quando avevo la possibilità di tornare in Sardegna io non sono voluto tornare per non fare a loro quello che han fatto a me..la patria è una.

Io sono prima sardo, poi italiano e alla fine argentino. Ho passaporto italiano, cittadinanza italiana. Per fortuna l’Argentina non mi ha chiesto mai di cambiare e di diventare cittadino. Quello che ho fatto,per mia moglie e figli, loro hanno doppia cittadinanza.

Giancarlo non ha mai dimenticato le sue origni; fin da bambino, ha sempre seguito con ammirazione i vecchi sardi, riuniti a giocare alla morra, e da adulto è diventato presidente del circolo sardos Unidos di Buenos Aires.

da quando sono arrivato a me piaceva ascoltare i vecchi sardi che giocavano a sa murra, cantavano i muttusu, io li ascoltavo perché da piccolo tutto quello che era sardegna per me era.. mi sentivo bene! Gente di 60 70 anni, io 6 anni, accanto a loro ascoltando con rispetto. I sardi quel tempo erano più sardi ancora. Poi sono diventato, non ricordo bene se nel 1995 o 1996 presidente del circolo; già ero stato tesoriere, segretario, poi presidente del circolo. Ho fatto 3 anni e mezzo come presidente. Nel circolo io come presidente ero personalità del governo sardo, abbiamo fatto una grande festa a Vicente lppez che era venuto il console Andrea Meloni, di origine sarda, il console generale di Argentina; è venuto alla festa con la mogli!

Al circolo facevamo molte attività, gare di cucina sarda,  io ho provato a integrare i giovani, perché io sono dell’ultima generazione dei sardi vecchi, bisognava integrare i figli e nipoti, cosa che non si era..beh in quel momento non so, ho lasciato il circolo per motivi personali, ma sino a quel momento i giovani non venivano, alle feste venivano per mangiare. Prima era cosi, i vecchi giocavano al tresette, per i giovani non c’era nulla di stimolante, venivano,mangiavano cibi sardi e poi andavano via.

Nel 1968, incontra Graciela, argentina di origini calabresi, con la quale due anni dopo si sposerà e dalla quale avrà quattro figli. Il loro matrimonio dura da ben 42 anni.

Ho conosciuto mia moglie Graciela, lei abitava qui vicino, e si andava a ballare dei club della città. Non c’era possibilità e non c’erano discoteche, e costavano anche tanto. Così nel 1968, il 2 marzo, era carnevale, ci siamo conosciuti. E li abbiamo ballato tutta la sera. Lei è figlia di padre calabrese e madre argentina, il destino della vita..ci siamo conosciuti e ci ha uniti.

Nel 1970 ci siamo sposati, il 7 Marzo; abbiamo avuto 3 maschi e una femmina : Alejandro 22 marzo 1971, Christian  è del 1974; Pablo, del 1978. Lui dal 2001 al 2006 ha vissuto in Spagna, ha avuto un figlio lì ma è anche lui italiano. Gabriela è nata nel 1984, non ci aspettavamo che sarebbe arrivata; si è sposata nel Maggio 2009.

Tutti i suoi figli, tranne Pablo, che Giancarlo chiama Paolo, sono stati nell’isola.

Gli altri sono stati con me, hanno avuto la fortuna, io li ho aiutati  nel pensiero di andare. Io li ho portato a conoscere il posto dove c’era mia nonna, la miniera. Li ho portati nel luogo dove sono nato. Poi Alejandro è stato due volte, anche in viaggio di nozze ed è stato a Portoscuso.

I miei figli sono argentini, però loro amano la Sardegna, mi hanno sentito tanto parlare della mia terra ,del folklore,i cibi ,il mare.

E poi, tutte le cose..mettiamo, io mi metto a cucinare cose sarde, i malloreddus, li faccio io a mano, all’uso sardo, con zafferano e vino rosso e salciccia. si mangiano anche le pentole!

Quindi, hanno veramente, Alessandro più degli altri, l’Italia è la seconda patria. Hanno molto apprezzamento per tutto quello che è Italia, ma principalmente quello che è Sardegna..

Gli chiedo se gli piacerebbe tornare a vivere in Sardegna, dopo il pensionamento.

Si e no…se fossi solo con mia moglie, può darsi sdi si, ma avendo figli,nipoti, per fortuna siamo una famiglia unita, l’affetto è importante,perché se non fosse stato così, sarei tornato nel 1986.

Spero di tornare parecchie volte ancora in Sardegna, ma non andarci a vivere, perché gli affetti sono qui.

Io amo l’argentina, è bella, ha molte cose da apprezzare, un paese che ha ospitato non solo italiani ma tutta l’immigrazione che è venuta,ci sono tedeschi,inglesi,francesi, ce ne sono molti italiani; più del 50% ha cognome di origine italiana, son venuti a lavorare, non “fare l’america,” qualcuno che voleva fare così è andato al Nord. Però sono venuti a lavorare forte, qualcuno è arrivato a fare fortuna e molta gente è morta lavorando.  Molta gente sarda non è mai tornata al proprio  paese, mai in Sardegna, non potevano tornare per i soldi.

Congedandomi, gli chiedo quando tornerà a trovarci sull’isola:

Io sono tornato nel 1986, poi ogni due anni, qualche volta torno in Sardegna. Se Dio vuole è sicuro, ci vediamo in Sardegna! Anche se non arriva la cedola delle elezioni!

Weisberger, Lauren: Al diavolo piace dolce

Al diavolo piace dolce

Traduzione: Francesca Spinelli
Titolo originale: Everyone worth knowing
Piemme 2007

New York, l’unica città al mondo in cui ancora la crisi non c’è. La ventisettenne Bette lascia il suo lavoro in banca ed accetta la proposta di lavorare per una agenzia di promozione eventi.   È l’inizio della fine, o l’inizio della vera vita. L’esistenza della giovane Bette, che chiunque potrebbe invidiarle, si trasforma: da sciatta donna in carriera in un ufficio triste a sexy organizzatrice di eventi per una delle agenzie più giovani e promettenti di New York. Da una festa all’altra, passando per Istanbul e per i locali più cool di Manhattan, Bette si ritrova a letto con l’uomo dei sogni di molte donne, lei inclusa.  Avvinghiata alla famosa celebrità che tutto il jet-set le invidia (ma non è mai tutto oro quel che luccica!), trascorrerà ventiquattro  ore al giorno in giro per la City tra party, riunioni, lavoro, dimenticando gli amici di sempre.  Eppure sarà a Poughkeepsie, la città a sessanta miglia da New York in cui ha trascorso tutta la sua vita, che, alla Festa del raccolto, in macchina con l’unica persona che le abbia mai fatto veramente “battere il cuore”, comincerà a capire cosa sia giusto, cosa sia sbagliato, e cosa valga davvero la pena essere vissuto…
Partiamo dal titolo originale, Everyone Worth Knowing , che in italiano dovrebbe suonare più o meno “tutto ciò che vale la pena sapere” ma è stato terribilmente tradotto  Al diavolo piace Dolce in onore del primo libro della stessa autrice, The Devil wears Prada, da cui è stato poi tratto l’omonimo film. Il titolo in italiano trae molto in inganno e, fino alle ultime pagine,non si capisce affatto cosa  sia “dolce”. Lo ammetto, all’inizio pensavo di trovare scene di binge eating, invece no; quel “dolce” è qualcosa di più, ma lo lascio scoprire a voi. Il racconto prende una forma più consistente solo a metà libro e solo alla duecentesima pagina capisci dove voglia andare a parare, e anche il prevedibile, ma piacevole, finale. Lo stile è quello tipico della Weisberger e anche la trama è più o meno la stessa (giovane donna in carriera a New York), ma sono i personaggi che  ruotano attorno alla protagonista a fare la vera differenza. Il capo di Bette è una giovane donna, abbastanza sadica ma non stronza, le colleghe sono invece le vere perfide e lo zio Will, probabilmente, l’unica vera star del romanzo. Chi non vorrebbe uno zio come Will? Dichiaratamente omosessuale, sensibile, open-minded, generoso a tal punto da instradare la nipote in ben due lavori. Alla faccia della crisi, appunto. Esilarante, brillante e… beh, sicuramente non alta letteratura. Ma ottimo da leggere la mattina o la sera dopo cena, proprio per staccare dai problemi della vita reale. Che sono molto più seri di un semplice cambio d’abito da decidere per l’ennesima festa. E anche Bette lo sa. Certamente.

Mlinowski, Sarah: Reggiseni e manici di scopa

Reggiseni e manici di scopa

Traduzione: Paola Maraone
Titolo originale: Bras And Broomsticks
Sonzogno 2011

Rachel Weinstein è una ragazzina di soli quattordici anni, eppure nel suo liceo è già una celebrità: i trofei da lei vinti nei più svariati concorsi di matematica si trovano nella bacheca della scuola, sommersi purtroppo dai trofei sportivi dei suoi compagni. Si sa, la vita è ingiusta: Rachel desidera da sempre un sacco di cose, e come tutte le ragazzine della sua età vorrebbe avere tutto ciò che desidera e averlo subito, soprattutto “un ragazzo, la pace nel mondo, due belle tette”. Di un seno generoso madre natura ha gentilmente fornito infatti la sorella minore Miri, ma non lei, non Rachel.  Fino a quel momento nessuno dei suoi desideri si è realizzato, almeno fino al giorno in cui ai suoi piedi si sono materializzate un paio di scarpe ultimo modello in camoscio verde, da lei viste pochi giorni prima in un negozio alla moda e desiderate ardentemente. Forse si tratta semplicemente di un regalo di sua madre, forse no, ma strane cose cominciano ad accadere nella sua vita e in quella di chi le sta vicino: mamma, papà e Perfida Matrigna, la sorellina minore. Rachel non sa di aver uno e più talenti nascosti, e quando il destino la porta, a passo di danza, ad inciampare nel momento giusto…
Il pregio e il difetto al tempo stesso di questo libro sta nel linguaggio, ricostruito alla perfezione dalla Mlynowski – canadese che non è alla prima prova come autrice e vanta un curriculum di tutto rispetto anche come editor. Il linguaggio dei giovani d’oggi: netto, tagliente, irriverente e scurrile ma non troppo. Belli erano i tempi, i miei – e non sono certo una veterana – in cui pensare ad un ragazzo significava sognare che dicesse “ti amo” e  ti rapisse per  vivere poi come nelle fiabe, “felici e contenti”; a quei tempi, pensare non era certo sognare scenari erotici, come fa invece la piccola Rachel. A 14 anni noi giocavamo a Pincaro, mentre Rachel ha come unica preoccupazione domandarsi perché le sue tette non crescano, essere brava a scuola… e chi scegliere  tra Mike o Rik come compagno di sogni (nel senso che la nostra eroina decide di volta in volta quale dei due sognare).  I tempi cambiano, e l’autrice, attenta all’evoluzione dei sistemi sociali ed esperta sicura di drammi adolescenziali, scrive con sagacia ed ironia, descrivendo il mondo giovanile per quello che è: un momento difficile e allo stesso tempo magico. Con o senza una sorellina minore contro la quale combattere.

Glass, Julia: Quanti giorni dopo di lei

Quanti giorni dopo di lei

Traduzione: Giovanni Scocchera
Titolo originale: The Widower’s Tale
Edizione Giunti 2011

“Ho già sentito questa storia, papà. È molto dolce. Tu e la mamma siete vissuti in un’epoca diversa, credimi”, sono le parole che la famosa oncologa Truthful Darling detta Trudy rivolge al padre Percy, vitale e schietto settantenne totalmente immerso in questa tribalizzante era informatica. Ancorato ad un passato che tenta in tutti i modi di rendere più che mai vivo, saldamente attaccato ai ricordi della moglie Penelope-Poppy, mancata circa quarant’anni prima (e la cui morte è avvolta in un mistero), Percival ha deciso di non sposarsi mai più. Continua a vivere a Matlock, nella stessa casa che “fu comprata per una sciocchezza! Il tetto stava per crollare, chiunque avrebbe lasciato perdere. Invece  no, Poppy disse che l’avrebbe trasformata in casa per le generazioni a venire”. La  figlia maggiore, Clover, nome di fiore accuratamente scelto dai coniugi Darling affinché non risultasse troppo banale, si è fatta promettere dal padre che questi avrebbe smesso di fare il bagno nudo nel laghetto; ed è così che un giorno Percy decide di comprare un costume da bagno, che cambierà il corso della sua vita. “elfi e fatine”, l’asilo per infanzia di cui Clover è ideatrice, rivoluzionerà, in un modo o nell’altro, l’esistenza del signor Darling e di tutta la sua stravagante famiglia…
Il libro, seppur avvincente in alcuni suoi punti, si muove lentamente e solo un lettore ostinato e tenace  trova la forza di andare oltre le prime 250 pagine: ma proprio qui, bisogna ammetterlo, le singole storie del prezioso quadretto bucolico prendono forma e si evolvono. La scrittura di Julia Glass, per chi non la conoscesse, è magistrale, coadiuvata qui da una ottima traduzione. Interessante è la pluralità di stili letterari  ed espedienti linguistici (passiamo da semplice prosa a delle e-mail), ma è ancora più intrigante il gioco narrativo: non vi è un singolo narratore, alcune volte Percy racconta in prima persona le proprie avventure ed emozioni, altre volte invece un narratore onnisciente ci racconta di Robert, figlio di Trudy, e di Celestino, tuttofare spaventato dalla vita e dalle passioni che inaspettatamente offre. La tragicommedia che Glass ci propone dona risalto alla propria penna, ma potrebbe annoiare. Ma Percy, no. Percy non annoierà. E forse qualcuna potrebbe anche innamorarsi di lui.

Cuneo, Anna: Il maestro di Garamond

Il Mastro di Garamond

copertina

Autore: Anna Cuneo
Traduzione: Gaia Amaducci
Edizioni Sironi,  2010

Il giovane incisore francese Claude Garamond ha perso il suo maestro e miglior amico: Antoine Augerau, maestro incisore, letterato, umanista, genio e tipografo,  nato a Fontenay La Comte, nella regione del Poitou  nel 1485,  è stato giustiziato per impiccagione il 24 Dicembre 1534 a Parigi, in Place Mauber. Il suo corpo è stato bruciato su un rogo alimentato da libri,  l’accusa è di essere l’ eretico e blasfemo autore di manifesti contro la messa cattolica, affissi in tutta la capitale. Il suo allievo, e figlio della donna che Augerau aveva poi sposato, Claude, assiste all’atroce pena capitale e si promette di scoprire la verità: chi ha scritto in realtà quei manifesti? E chi li ha poi stampati? Le strade del quartiere degli stampatori di Parigi, Grand-Rue Saint-Jacques, diventano il teatro delle vicende quotidiane del ragazzo, impegnato a spazzare i locali della tipografia da cui è assunto, correre da una bottega all’altra e imparare i rudimenti del mestiere…
Anna Cuneo ha chiare origini italiane, ma è svizzera e scrive in francese. Il suo libro si commenta da solo, ma per chi non lo avesse letto basti questo: capolavoro. Minuziosa la descrizione della storia, e lampante è  il gusto per la ricostruzione da parte dell’autrice; reali gli scenari e i luoghi ivi descritti: il lettore non dovrà impegnarsi per immedesimarsi nella storia. La vicenda è ambientata in un periodo violento e tumultuoso, caratterizzato dalla Riforma e dalle conseguenti persecuzioni religiose, lotte dinastiche e innovazioni scientifiche, frutto del nuovo pensiero umanista. Viene ripercorsa tutta la storia professionale e umana del protagonista, che incontra personaggi come Calvino, Erasmo, Margherita di Navarra, Rabelais. La lettura scorre, i dialoghi sono semplici ed immediati, a volte troppo moderni per mots-pout-le-dire (si diceva davvero “Io sono una forza!” nella Parigi del 1500?), ma sembra davvero di essere a Parigi, e poi Venezia al cospetto di Manuzio, e poi Basilea. Antoine Augerau affascina i lettori come affascina la madre di Claude; affascinano la sua storia e la sua fine. Ma chi di noi si ricordava di Augerau? Il suo allievo, narratore dei fatti, Claude Garamond, è più famoso e citato, forse perché il carattere Garamond è uno dei più utilizzati dai computer di tutto il mondo. Ma Claude non sarebbe stato senza Antoine, e questo dimostra il testo della Cuneo. Ottimo, veramente. Ricostruzione storica che non si interrompe con la fine del libro, con l’inizio dello stesso e la morte di Antoine Augerau.
A pagina 443 troviamo un capitoletto interessante, “che ne è stato dei miei amici?”: qui, la Cuneo ci racconta”che ne è stato dei personaggi” citati nel libro.  E non ci lascia a bocca asciutta, ma ci mostra come un’ innovazione come la stampa, capace di trasmettere cultura, forse oggi sottovalutata, possa diventare rischiosa se mal utilizzata.
O semplicemente malinterpretata.

Mereu, Mario: Prima della pioggia di Settembre

Prima della pioggia di Settembre 

Mario Mereu
Edizioni Aisara, 2009

Il giovane giornalista cagliaritano Nanni è chiamato a rapporto dal suo editore. Gli viene commissionato un nuovo lavoro, un reportage su un paese a vocazione agricolo-pastorale la cui improvvisa crescita economica, dovuta alla panificazione di un miracolo culinario, ha iniziato a fare scalpore, per poi finire stampata su alcuni giornali locali. Prendere o lasciare: o sei dentro il pezzo, oppure… Siurgus Donigala, piccolo comune della Trexenta: su di esso un anatema – o forse benedizione. Il mistero, e la sua risoluzione finale, si trovano in un suono ben preciso e antichi riti nuragici…
Non ci è dato conoscere, nel romanzo di Mereu, il perché di molti avvenimenti. L’autore inizia da una certosina ricerca della cultura de Is Abrebus e della Trexenta, e da lì riparte per dar vita ad un romanzo in cui la realtà non si unisce alla fantasia e alla magia, ma ne è intrisa, formando un unicum. È così per il rapporto con lo zio di Nanni, cieco, presumibilmente privo di cultura, ma che pure comunica col nipote tramite e-mail. È così per la giovane e bella insegnante forestiera, immedesimatasi subito in questo clima di terrore e vittima della smodata mania di utilizzare campanelle appese un po’ ovunque. Siurgus Donigala risuona, incessante, di racconti di vecchie e sagge storie, di campanelle appese al collo dei suoi abitanti e nelle pareti delle abitazioni. Si parla di Is Abrebus, ma viene da pensare che realmente gli abitanti di Siurgus Donigala non sappiano di cosa si tratti, visti come formule magiche e rituali, e non più come semplici mottettus da ripetere. Buona parte dei lettori potrebbe restare nel dubbio anche dopo una attenta lettura del testo. Finisce, ma si vorrebbe che non finisse, che continuasse e ci spiegasse molto di quell’insoluto. Mereu, invece, se da una parte ci regala un finale chiaro e semplice, dall’altra lascia una fitta nebbia di mistero. Di scorrevole lettura, piacevole, ma da assorbire totalmente prima di poterlo comprendere nella sua complessa totalità; molto buono dal punto di vista stilistico, con un accattivante mix di stili linguistici: prosa, poesia (Is abrebus sono dei piccoli stornelli in limba), e-mail e giornalismo. Per chi non conosce il dialetto sardo la lettura potrebbe risultare ostica a causa della mancanza di note e traduzioni: consigliato solo ai lettori molto interessati alla cultura isolana.

Mulas, Giovanna: Nessuno doveva sapere, Nessuno doveva sentire

Nessuno doveva sapere, nessuno doveva sentire

Giovanna Mulas
Romanzo
Edizioni Il Ciliegio 2010
Maddalena è emigrata a Firenze per frequentarvi l’Università; vive insieme alla compagna di studi Aradia, ragazza alquanto singolare: di poche parole, smunta e pallida. Ragazza dalla probabile vita dissoluta, quotidianamente esce di casa la notte per farvi ritorno solo al mattino, sempre più cerea e taciturna. Maddalena, incuriosita, una notte decide di seguirla, diventando così spettatrice occulta di un rito sabbatico e propiziatorio: scoperta dalle streghe, perde coscienza. Al risveglio, non riporta con se alcun ricordo di quella notte. Sardegna, molti anni dopo. La giovane donna Abbaccai, dopo l’orrore di una violenza carnale dal parte del giovane prete del paese, la notte stessa ha il primo ciclo mestruale, a purificazione della violenza appena avvenuta: termina un vecchio ciclo vitale e uno nuovo inizia, una nuova vita: lei è ora s’accabadora, “Unica nei tempi, ciclica, Regina”, colei che uccide la vita per il rinnovamento, che dona morte e pace…
Colei insomma che ci accompagna in questo romanzo quasi sibillino e onirico, in una favola immaginifica ma inquietante come colei di cui “tutti sanno, ma di cui nessuno parla”. La figura de S’accabadora non è mitica; chi non conosce la cultura sarda può, con questo testo, imparare a conoscerla, con spunti non per forza gentili e delicati (la doppia violenza, l’isolamento da parte della comunità),ma riportanti la verità. Donna, sola, chiamata sul eltto di morte di agonizzanti anziani, giovani, li finiva soffocandoli con un cuscino, o colpendoli con su mazzolu. La Mulas gioca con istinti di suono ed energia, donando alla sua accabadora un nome nuovo, mai prima utilizzato e che anticipasse le facoltà di questa donna, bambina: togliere la vita, finire. Abbaccai come s’Abba, l’acqua, elemento vitale di ogni uomo e della natura stesso; Abbaccai come Acabar, terminare, porre fine. Nome selvaggio, rurale, che riporta anche ai riti di bacco, i Bacchanalia, i Sabba. La trama del romanzo è fiabesca e mostra la dedizione minuziosa della scrittrice per la ricerca culturale e antropologica; a questa si è volutamente dedicata per delineare una figura che fosse strettamente personale e congeniale a quanto appreso dai racconti delle anziane del proprio paese, che ha potuto incontrare e da cui ha saputo cogliere confessioni e racconti. Impietoso sarebbe per gli altri romanzi sull’argomento essere paragonati al lavoro della Mulas: la più volte candidata al premio Nobel per la letteratura, poetessa pura e ricercata, con questo romanzo da ancora una volta saggio della maestria della propria penna. Non un saggio, anche se per scriverlo si è addentrata nella cultura sarda, studiando a lungo. Non una semplice prosa, perché poetico e musicale, creato con un continuo rivolgersi all’interiorità del lettore. Da leggere, da ascoltare (il libro è venduto accompagnato da un cd con musiche originali del maestro Gianluca Rando, già direttore d’Orchestra RAI), da ammirare grazie alle illustrazioni di Pinina Podestà e a teatro, nello spettacolo “Bianca Rondine Silente” di Antonio Marras. Non facile, senza dubbio. Ma la facilità dei versi non sta nelle corde di Giovanna Mulas, una scrittrice per il popolo, tra il popolo.

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Milano- Cagliari- London-Barcelona- Buenos Aires, Marseille, Mondo, Italia..

28 anni,dottoressa in lingue,insegnante, ricercatrice senza portafoglio, cantante e corista. Online a tutte le ore del giorno: la rete è uno solo dei modi efficaci di vivere la vita.Vivo tra Milano e il basso Sulcis Iglesiente, Londra è la mia città, Barcelona il mio cuore per colori, suoni di voci, sorrisi. BUENOS AIRES sono tre mesi della mia vita, irripetibili ed unici. La Francia le mie origini.. Della musica ho provato a farne professione senza riuscita:nella speranza e attesa della Buona Stella, ho coltivato altre passioni.Parlo (e scrivo,e leggo,ovviamente) Inglese e Spagnolo,Francese con limitazioni psicologiche,studio con orgoglio Portoghese e Russo.  Ho un bisogno costante di stare in acqua,essendo nata nella terra del mare e del vento-in cui spero di tornare a vivere presto. Scrivo , canto. Spesso faccio le due cose contemporaneamente.Vivevo da sola; ora non più, ma il costo della vita è quello che è. Sono socievole, sincera, poco diplomatica-molto sul lavoro.

Sono buddista.

Continua..


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